Gela:Acqua non potabile? I cittadini chiedono l’abbattimento del 50% delle tariffe.


Questo e quello che è scaturito dalla riunione convocata dal Presidente del Consiglio di Gela Giuseppe Di Dio giorno 7 dicembre alle 0re 18.00, presso l’aula consiliare del comune di gela, sulla problematica “acqua non potabile”. Presenti all’assise tutti i rappresentanti dei 12 quartieri della città che hanno dissertato con varie dichiarazioni il malcontento della cittadinanza sull’ erogazione dell’acqua che a detta dei rappresentanti dei quartieri sembra essere non potabile. Tra le dichiarazioni quella di un componente di un comitato di quartiere che ha detto” Oggi l’acqua dichiarata potabile dall’ASL 2 di Caltanissetta non è utilizzabile per gli usi umani perchè provoca solo danni alla salute,allergie,ipertensione ed in alcuni casi anche infezioni intestinali ecc….”. Dichiarazioni che sicuramente permetterebbero l’abbattimento delle tariffe secondo quanto previsto dal’art 13 del provvedimento cipe n°26/95. Dal canto suo l’amministrazione comunale in questo senso ha cercato nei mesi scorsi attraverso vari tavoli tecnici, che si sono svolti Palermo in presenza del presidente della regione Salvatore Cuffaro, di dimostrare la non potabilità dell’acqua di Gela, trovando però un muro insormontabile rappresentato dalle certificazioni dell’ASL 2, che hanno stabilito che l’acqua di Gela è “Potabile”. Il presidente della Regione Siciliana quindi in riferimento agli atti ha dovuto dichiarare “L’acqua di Gela è Potabile ma non bevibile,farò comunque il possibile per favorire l’abbattimento delle tariffe al 50%”. Dichiarazione fatta circa 3 mesi fà che ad oggi non ha avuto nessun riscontro. La città e i cittadini si sentono a questo punto traditi dalle dichiarazioni fatte dal presidente della regione in relazione anche ai disservizi oggi presenti in città quali: mancata erogazione dell’acqua per 2 settimane,acqua non utilizzabile per gli usi umani perché sporca ecc. ecc. Intanto incalzano le bollette di Caltaqua dovute per un canone fisso annuale di 160€ a fronte di un consumo limite di 120 mq di acqua . Il malcontento comunque scaturito dalla riunione è generalizzato e le strategie indicate sono molteplici tra cui una manifestazione a Palermo e la costituzione di un comitato permanente di cittadini sull’emergenza idrica a gela. La problematica Gelese ci fa cogliere comunque degli spunti interessanti per approfondire con l’occhio del legislatore ed in maniera nettamente bipartisan la nota “Acqua potabile”. La disciplina dell’acqua potabile in italia è data dal DPR n. 236/1988 e dai decreti legislativi n. 31/2001 e n. 27/2002, che discendono da Direttive europee che hanno imposto dei requisiti molto rigorosi. L'acqua, per essere potabile, non solo non deve "contenere microrganismi e parassiti, né altre sostanze, in quantità o concentrazioni tali da rappresentare un potenziale pericolo per la salute umana", ma non deve superare neanche determinati valori massimi di sostanze non propriamente nocive per la salute. Per altre sostanze e caratteristiche, inoltre, la legge prevede dei "parametri indicatori" il cui superamento pur non determinando necessariamente la non potabilità dell’acqua, impone una valutazione rimessa alle autorità sanitarie (le ASL), le quali potranno disporre "che vengano presi provvedimenti intesi a ripristinare la qualità dell’acqua". Così, se il ferro supera il valore di 200 microgrammi per litro (un microgrammo è un milionesimo di grammo) o il manganese 50 microgrammi, le autorità sanitarie potranno ordinare all’azienda che gestisce l’acquedotto di predisporre trattamenti per abbassare tali valori. Ferro e manganese non sono nocivi alla salute anche se superano un po’ i valori prescritti, anzi possono essere utili all’organismo, ma siccome l’acqua potabile viene utilizzata da tutti i consumatori senza che essi abbiano la possibilità di scegliere l’acqua che esce dal rubinetto, la legge ha previsto dei limiti di intervento per cercare di accontentare ogni gusto ed esigenza.. I parametri che contano comunque, sono fissati nel decreto legge n. 31 del 2001, entrato in vigore a dicembre del 2003, che stabilisce dei limiti fissi per i parametri più importanti. Quelli, per intenderci,che andiamo di solito a cercare nelle analisi. Per quanto riguarda i metalli, i limiti di legge sono espressi in microgrammi per litro(μg/l). Il limite per l’alluminio è di 200 μg/l,il cromo non deve superare i 50 μg/l, il nichel 20, mentre per l’arsenico e il piombo il limite è di 10 μg/l. Per i nitrati,presenti in alcune grandi città, come Milano e Napoli, e sintomo di una possibile contaminazione da liquami, il decreto fissa un limite di 50 milligrammi al litro, sicuro ma un po’ permissivo per donne incinte e bambini. Per i trialometani, sottoprodotti della disinfezione, la legge fissa un limite di30 μg/l per la somma delle concentrazioni dei vari composti. Per il clorito prima di questa legge non esistevano limiti, ma si faceva riferimento a un valore guida dell’OMS di 700 μg/l. La nuova legge pone il limite assai più restrittivo di 200 μg/l, ma con una deroga fino a 800 μg/l fino a fine 2006 per dare agli acquedotti il tempo di adeguarsi. Infi ne il sodio, cavallo di battaglia delle pubblicità delle minerali, ha un limite di legge di 200 mg/l.. Riassumiamo con la sottostante tabella in maniera chiara i limiti delle varie sostanze.

Tabella di riferimento

Sostanze

Valore massimo
(microgrammi/litro)

Arsenico

10

Benzene

1

Benzo (a) pirene

0,01

Boro

1

Cadmio

10

Clorito

200

Cromo

50

Cianuro

50

Fluoruro

1,5

Mercurio

1

Nichel

20

Nitrati

50

Nitriti

0,5

Piombo

10

Selenio

10

Vanadio

50

Infine si ritiene opportuno dare informativa anche di una sentenza del giudice di pace di Reggio Calabria che detta nei 2 punti principali le condizioni di potabilità ed alcuni riferimenti di legge correlati importanti.

1) Acqua potabile - inquinamento - assenza del requisito della potabilità - inadempimento contrattuale - la riduzione del 50% del canone. Il cloruro superiore alla norma è pericoloso per la salute, essendo responsabile dell’ipertensione arteriosa e può determinare anche intossicazioni (Sent. n. 218/98 del 10.06.1998 – Giudice di Pace di Reggio Calabria). Non avendo l’acqua pertanto il requisito della potabilità vi è un inadempimento contrattuale sanzionato dal D.P.R. n. 236 del 24/05/19888 che da’ attuazione alla Direttiva C.E.E. n. 80/778 concernente la qualità delle acque destinate al consumo umano, ai sensi dell’art. 15 della Legge n. 183 del 16.04.1987. In detto decreto sono indicati i requisiti di potabilità dell’acqua. Detto provvedimento è applicabile in quanto non derogato dal D.L. n. 66/89. Da ciò discende l’applicabilità al caso di specie dell’art. 13 del provvedimento C.I.P. n. 26/75 che prevede la riduzione del 50% del canone. Giudice di Pace Coordinatore di Reggio Calabria sentenza del 27.11.2000

2) Acqua priva del requisito della potabilità - l’inadempimento della P.A. - responsabilità contrattuale - diritto al risarcimento del danno - la prova del danno patrimoniale sofferto - il potere discrezionale del giudice di liquidare il danno, in via equitativa - risarcimento del danno alla salute come danno biologico. L’inadempimento è fonte di responsabilità contrattuale alla quale si accompagna il diritto al risarcimento del danno e dal rispetto di queste regole non è esentata la P.A. ove non adempia le prestazioni assunte iure privatorum. L’inesatto adempimento, (acqua priva del requisito della potabilità) pertanto, comporta la condanna del Comune al risarcimento dei danni causati all’attrice. Pur tuttavia, trattandosi di danni patrimoniali, questi andavano provati. L’attrice, pertanto, avrebbe dovuto dare la prova del danno patrimoniale sofferto, lasciando poi la quantificazione equitativa a questo Giudice. La prova dell’entità del danno non era certo difficoltosa o impossibile, per cui l’attrice avrebbe ben potuto assolvere all’onere probatorio, ex art. 2697 C.C. (Cfr. Cass. Civ. Sent. n. 1489 del 11.02.1987). Ancora sul punto: “il potere attribuito al giudice dall'art. 1226 cod. civ. non esonera l'interessato dall'onere di offrire gli elementi probatori in ordine alla sua esistenza” (Cfr. Cass. Civ. Sent. n. 11163 del 24.12.1994). “L'esercizio in concreto del potere discrezionale del giudice di liquidare il danno, in via equitativa, nonché l'accertamento del relativo presupposto, costituito dall'impossibilità o dalla rilevante difficoltà di precisare il danno nel suo esatto ammontare, non sono suscettibili di sindacato in sede di legittimità quando la relativa decisione sia sorretta da motivazioni immuni da vizi logici o errori di diritto.” (Cfr. Cass. Civ. Sent n. 7067 del 09.06.1992). Non avendo l’attrice adempiuto a tale onere, la richiesta di risarcimento dei danni patrimoniali va rigettata. E’ invece da risarcire il danno alla salute, determinato dalla eccessiva concentrazione di sodio, che, inteso come danno biologico, pur non potendo essere quantificato, va però liquidato equitativamente dal Giudice stante la effettività e riscontrabilità dello stesso e la impossibilità di provare l’incidenza del pregiudizio economico. Giudice di Pace Coordinatore di Reggio Calabria sentenza del 27.11.2000 .

La norma quindi è chiara e occorre solo farla applicare,quando necessita naturalmente !!

Maurizio Cirignotta

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